di Luca Nivarra*
“Quello dell’Università rappresenta, per una sinistra autenticamente antagonista, un terreno fondamentale di analisi e di iniziativa politica. Le caratteristiche esibite dal capitalismo nel suo ciclo attuale assegnano all’Università, ed alle istituzioni della formazione in genere, un ruolo decisivo nei processi di valorizzazione del capitale e di assoggettamento a quest’ultimo del lavoro e della vita stessa delle persone.
Il peso crescente che nell’economia postfordista compete alla conoscenza come modalità specifica e, in pari tempo diffusa, di creazione di plusvalore fa del circuito deputato alla trasmissione/elaborazione dei saperi un luogo molto simile alla fabbrica fordista. Dico molto simile perché l’acquisizione delle competenze da spendere sul mercato del lavoro precede la fase in cui quelle competenze saranno immesse nella filiera produttiva: anche se, come è stato osservato, il sistema universitario sempre più assomiglia al sistema delle imprese in specie proprio sotto il profilo della sua attitudine a mettere al lavoro studenti e precari, così come le imprese ormai stabilmente trasferiscono sui consumatori una parte del lavoro di rilevazione delle tendenze del mercato che, altrimenti, spetterebbe a loro di svolgere.
Ad ogni modo, quale che sia il momento in cui il capitalismo cognitivo procede all’estrazione del plusvalore, è fuor di dubbio che la materia su cui l’operazione si compie è la conoscenza di cui sono portatori i singoli e la collettività.
Questo livello del discorso deve necessariamente collegarsi ad un’analisi delle politiche per l’Università sviluppate dai vari governi nelle diverse realtà nazionali e sulla scala europea. Sul punto è possibile affermare, in via di primissima approvazione, e tenendo sempre ben presente il fattore di distorsione rappresentato dall’incultura e dal provincialismo delle classi dirigenti nostrane, che nel corso degli ultimi dieci – dodici anni le politiche per l’Università, in Italia, sono passate attraverso due fasi fondamentali.
La prima, che coincide con il quinquennio del governo di centro – sinistra, caratterizzata da un andamento espansivo: non certamente sotto forma di un incremento della quota di spesa sul PIL, ma in termini di innovazione normativa.
Mi riferisco al rafforzamento dell’autonomia degli Atenei, all’introduzione del tre più due, alla nuova disciplina del reclutamento dei professori e dei ricercatori, alla proliferazione delle sedi e dei consorzi decentrati e dei corsi di laurea.
Al netto della già segnalata quota di provincialismo che ha reso alcune di queste innovazioni una vera e propria caricatura del modello di volta in volta avuto presente; e al netto, bisogna aggiungere, dell’uso spregiudicato che una corporazione accademica miope e vorace ha fatto dei nuovi strumenti, si può dire che il quinquennio 1996 – 2001 ha segnato il punto più alto di modernizzazione in chiave postfordista della nostra Università, in linea, del resto, con la vocazione del centro – sinistra a candidarsi al ruolo di artefice di una più generale modernizzazione del Paese (privatizzazioni, liberalizzazioni, euro ecc.).
Il periodo successivo, che va dal 2001 ad oggi, di governo della destra, salvo che per la breve parentesi prodiana, ha registrato una chiara inversione di tendenza. Abbiamo avuto così, specie nella fase gelminiana di guida del MIUR, un progressivo blocco del reclutamento e il contestuale passaggio un sistema concorsuale su due livelli, di cui uno nuovamente nazionale; il ridimensionamento, se non la cancellazione, della riforma del 1999, lo stop alla proliferazione delle sedi e dei corsi di laurea: tutto questo, naturalmente, in un quadro di ulteriore riduzione della spesa.
È veramente curioso come una pubblicistica da anni impegnata in una denuncia più o meno attendibile dei molti mali che affliggono i nostri atenei (in primis, il nepotismo) non si sia accorta del fatto che quello dell’Università individui uno dei pochi terreni su cui le due coalizioni si sono confrontate e, per quanto possibile, anche differenziate.
Ciò dipende, a mio avviso, dalla circostanza che, per quanto in modo confuso e grossolano, le politiche per l’Università rispecchiano la collocazione dei due schieramenti all’interno del fronte capitalistico. In questa prospettiva, risulta abbastanza evidente che il centro – sinistra ambisce a conquistare la rappresentanza politica della frazione di capitale che, almeno sin qui, si è mostrata più sensibile al mainstream postfordista e al richiamo di un modello di economia della conoscenza.
Le innovazioni cui si è accennato in precedenza esprimono il tentativo, per quanto maldestro, di adeguare il sistema universitario a siffatto modello, così come, d’altra parte, preteso anche dall’UE. Il centro – destra, dal canto suo, appare molto più vicino agli interessi di un capitale di impronta fordista, più radicato dentro un’economia del materiale e del manifatturiero: e ciò può spiegare il perché della sua, almeno parziale, controriforma dell’Università la quale, con ogni probabilità, si inserisce all’interno di una strategia di coerente posizionamento dell’Italia nella divisione internazionale del lavoro.
Naturalmente, questa analisi soffre di una semplificazione brutale e necessita di ulteriori, seri approfondimenti.
Tuttavia, se essa si rivelasse anche solo in parte fondata, se ne potrebbero ricavare indicazioni utili nell’ordine: a) per una lettura non corriva dei processi in atto nell’Università italiana (ad es., il sistema della valutazione degli Atenei che, per come concretamente funziona, obbedisce solo ed esclusivamente ad un’esigenza di razionalizzazione maltusiana del comparto pubblico alta formazione/ricerca); b) per l’impostazione di una strategia di intervento politico nel settore; c) infine, forse, per una riconsiderazione più generale, a partire da un ambito specifico, delle dinamiche che attraversano e plasmano il quadro politico italiano.
Su questi tre punti mi riprometto, però, di intervenire successivamente”.
* docente di Istituzioni di diritto privato presso l’Università degli Studi di Palermo, sulle politiche per l’Università.