Skip to content


Intervista precaria #1

Questa è la prima intervista della serie "Interviste precarie" dove raccoglieremo testimonianze da tutte quelle persone che vivono la precarietà come principale orizzonte della loro esistenza e come  fatto inaggirabile per le loro scelte e i loro progetti.
Questa prima intervista è stata fatta il 10 settembre nel contesto delle proteste de* precar* della scuola e vede come protagonista una ragazza poco più che trentenne da molti anni Insegnante Precaria a Perugia.

Tutti i materiali presenti sul sito sono distribuiti sotto licenza
 

LA RIVOLTA

Perugia, 10 settembre del 2009. All’istituto Giordano Bruno stanno per effettuare un nuovo giro di nomine, stanno per offrire le briciole a chi l’anno scorso aveva una cattedra. I precari e le precarie della scuola sono lì davanti e non per aspettare. Sono lì in segno di protesta contro il licenziamento di massa imposto da Tremonti e codificato dalla Gelmini: 40 mila insegnanti senza cattedra solo quest’anno. 200 mila previsti nel giro di tre anni.

Ma cos’è un precario o una precaria della scuola? E’ un* che in attesa di fare altro si è iscritto ad una lista di collocamento per insegnanti? E’ un* che aspetta di avere un posto per succhiare comodamente soldi pubblici o (peggio) per indottrinare alunni minorenni?

No. E’ una persona che si è formata frequentando almeno cinque anni di università, che ha dovuto sostenere un esame per frequentare due anni una scuola di specializzazione a numero chiuso, che ha pagato profumatamente (3 mila euro l’anno) questa scuola senza ricevere nulla di formativo in cambio, che è abilitata ed è iscritta di diritto in una graduatoria che avrebbe dovuto consentirle di ottenere un posto di ruolo nel volgere di qualche anno.

Ed invece… A causa del licenziamento di massa avvenuto all’inizio di questo anno scolastico che fine farà il/la nostr* precari*? Se stava per ottenere l’agognata cattedra ‘fissa’, la vedrà allontanarsi ogni anno di più. Se solitamente aveva ottenuto incarichi annuali, sarà nella migliore delle ipotesi costretto ad insegnare in più scuole lontane tra loro o difficilmente raggiungibili o peggio dovrà accontentarsi di poche ore.

Le conseguenze peggiori vanno però ricercate nell’ambito della sfera sociale. Per ottenere le briciole il/la precari* rischierà di vedersi avversato da altri precari come lui ed avrà meno tempo per lottare per la scuola pubblica. Questo significherà atomizzazione, rottura di legami sociali, individualizzazione dei comportamenti e loro declinazione in senso egoistico come ricerca di un salvataggio individuale.

Ma non è solo il/la precari* della scuola a doversi preoccupare della ‘nuova scuola’. I/le neolaureat* e i/le laureand* potranno riporre le loro velleità didattiche nel cassetto e iniziare a cercare altro. Una prospettiva stimolante soprattutto per i laureati in materie umanistiche pensate con un ovvio e immediato sbocco verso l’insegnamento.

E agli alunni non andrà meglio. Meno insegnanti significa una pessima preparazione, meno soldi significa meno strutture, più alunni per classe, mancato rispetto dei regolamenti di sicurezza, meno insegnanti di sostegno, meno possibilità di seguire e aiutare gli studenti immigrati che hanno difficoltà linguistiche e di integrazione.

E tutto ciò in attesa del terribile DDL Aprea che probabilmente verrà approvato quest’anno.

 

INTERVISTE PRECARIE – PARTE PRIMA

Questo il quadro politico e sociale ove la riforma Gelmini (legge 169) va ad agire. Ma la cosa più importante sono le esistenze vive che si troveranno in mezzo a questa catastrofe.

Al presidio del 10 settembre abbiamo parlato con una Precaria della scuola.

L’intervistata ha conseguito nel 2002 l’abilitazione SISS per insegnare italiano presso gli istituti tecnici. Da allora è inserita nelle graduatorie permanenti, ma ogni anno deve aspettare la fine di agosto o l’inizio di settembre per sapere dove andare ad insegnare nei successivi nove mesi. Quindi, niente continuità didattica e niente ferie estive pagate (con buona pace di chi pensa che fare l’insegnante sia comodo perché tra giugno e agosto prendi lo stipendio e non fai niente).

Il punteggio accumulato nel corso degli anni le aveva comunque sempre permesso di insegnare a Perugia, città in cui risiede. Ma alle nomine di fine agosto di quest’anno ha trovato un solo posto, a Todi, ed ovviamente con un contratto che scade a giugno del prossimo anno. La causa di tutto ciò? La drastica diminuzione di cattedre della scuola secondaria che si è avuta quest’anno.

Quelle che seguono sono le sue riflessioni

“In questo ultimo anno l’attenzione riservata alla ‘riforma’ della scuola da parte dei mezzi di informazione è stata scarsa e si è concentrata unicamente sui tagli del personale nelle scuole elementari generata dall’introduzione del maestro unico.

In realtà, anche le scuole secondarie medie e superiori hanno visto quest’anno una drammatica diminuzione delle cattedre. Quindi, per ricoprire gli organici di fatto serviranno molti meno insegnanti precari, cioè abilitati, ma senza cattedra fissa.

Questa contrazione non può, però, considerarsi una sorpresa: i tagli di cattedre di quest’anno erano ampiamente prevedibili e interamente contenuti nella legge 169 dello scorso anno.

I motivi del licenziamento di massa

Due sono i motivi principali che hanno portato a questa riduzione.

Innanzitutto, da quest’anno i presidi di tutti gli istituti e di tutti i licei devono formare tutte cattedre da almeno 18 ore, anche a costo di mandare in esubero (cioè, costringere al trasferimento) docenti titolari di una cattedra.

Un esempio. La cattedra di italiano e storia al biennio di un istituto tecnico prevedeva 14 ore più 4 a disposizione, poi modificata in 14 ore al biennio più 3 di italiano in una delle classi del triennio ed un’ora a disposizione della scuola. Quindi, lo stesso insegnante insegnava due materie in due classi per due anni consecutivi. Ora questo non è possibile perché ciascun insegnante deve raggiungere almeno 18 ore. Come fare allora?

Si può lasciare l’insegnamento di una o più materie in una classe del biennio e, per completare, si possono prendere alcune ore di insegnamento in classi del biennio di un altro corso o, addirittura, in classi del triennio. Ma questo va a scapito della continuità didattica e della qualità della didattica: è più importante ‘tappare i buchi’ che assicurarsi che gli studenti abbiano anno dopo anno lo stesso insegnante. E si sa che cambiare insegnante ogni anno crea spesso confusione negli studenti.

Seconda alternativa, si può optare per una cattedra di più di 18 ore. In questo modo si tolgono ore vaganti che in precedenza servivano a creare altre cattedre, magari su più scuole, e, quindi, andavano a beneficio dei precari, cioè degli abilitati che erano più giù in graduatoria. E’ superfluo dire che lo Stato spende meno a pagare due o tre ore in più a chi ha già una cattedra che a stipulare un contratto anche solo per tre ore settimanali con un altro insegnante. La cosa triste è che nei collegi docenti di inizio anno si vedono spesso lotte sanguinose tra insegnanti di ruolo per spartirsi le ore eccedenti.

Il mutuo da pagare, i conti da far tornare… spesso sono la causa che spinge insegnanti di ruolo a sovraccaricarsi di altre ore, cioè altre classi, a scapito non solo dei loro colleghi meno fortunati (perché ancora precari) ma anche della qualità delle loro prestazioni professionali!

In secondo luogo, sono cambiate le direttive governative per formare le classi nelle superiori. Il numero di alunni per classe è stato innalzato in tutti gli ordini e gradi. Nell’infanzia il minimo per sezione è di 18 e il massimo di 26. Nelle elementari minimo 15 e tetto fissato a 26 bambini. Nella media è di 18 alunni fino 27 iscritti. Nella scuola superiore i limiti per le classi sono di 27 e 30 studenti.

Con 150 nuovi iscritti, l’anno scorso si sarebbero formate 6 prime di 25 alunni, quest’anno 5 prime di 30 alunni ciascuno.

Non solo. C’è l’obbligo di riconteggiare il numero delle classi anche all’inizio del triennio. Se, a causa di bocciature o trasferimenti, si iscrivono 120 alunni alla terza provenienti da 5 classi diverse, il preside deve costituire solo 4 terze. Quindi, deve smembrare, ad esempio, la terza sfigata di turno e distribuire i suoi alunni nelle altre quattro terze.

Inoltre, a qualsiasi livello, le classi con meno di 20 alunni devono essere smembrate o accorpate ad altre classi. Chi vi parla già dall’anno scorso ha dovuto affrontare una situazione di insegnamento da anni ’50, in una pluriclasse del corso serale di un istituto tecnico così formata: alunni provenienti da due terze e due quarte (una quarta e una terza ITIS e una quarta e una terza Ragioneria) nell’ambito del progetto SIRIO previsto per la formazione agli adulti. Il totale degli studenti di questa unica classe (3^-4^) era di 38 persone! La programmazione disciplinare per le materie italiano e storia era distribuita su 4 ore settimanali, con un sillabo che va cronologicamente per entrambe le discipline dall’Alto medioevo all’unità d’Italia…..

E i corsi serali?

Ciò rappresenta senz’altro ‘il danno’, ma la beffa consiste nel fatto che con le regole introdotte quest’anno i corsi serali sono destinati a scomparire. Questo è un ulteriore attentato alla formazione, considerando che l’utenza delle scuole serali è in genere straniera e a tutt’oggi non sono previsti interventi ad hoc per il sostegno linguistico di italiano L2 agli studenti adulti, se non in maniera ‘spontaneistica’ e comunque non sistematica.

Con quali criteri?

La ‘riforma’ della scuola è stata, dunque, completamente subordinata a criteri economici, con evidente danno di tutti gli altri criteri. Oltre l’offerta formativa e gli insegnanti precari, ne risentiranno anche le norme di sicurezza. Le strutture, spesso inadatte, dovranno dall’anno appena iniziato far fronte a classi con maggior numero di persone senza che lo Stato abbia minimamente investito in questo settore.

Cosa ci aspetta?

Ma peggiore del presente è la prospettiva del futuro.

Dall’anno prossimo tutti i corsi di studio dovranno prevedere (con poche eccezioni) un massimo di trenta ore di 60 minuti. Cioè, al più 5 ore al giorno di 60 minuti e non più ore contratte. Questo porterà alla sparizione dei corsi sperimentali ed alla contrazione delle ore di insegnamento di alcune ore in alcuni corsi di studio.

Inoltre, è probabile che quest’anno il governo approvi il DDL Aprea, pronto già da inizio legislatura in quanto naturale continuazione della riforma Moratti.

Questo DDL ristrutturerà la scuola dandole la possibilità (in realtà, a causa dei tagli, imponendole) di trasformarsi in fondazione con tutte le caratteristiche che essa comporta: non più graduatorie ma, non più scuola gratuita ma pagamento di una più o meno esosa retta, non più scuola laica garantita a tutti ma scuole confessionali o ritorte alle volontà di colui o colei che la gestisce.

Questa legge imporrebbe la divisone degli istituti superiori in licei, istituti tecnici e istituti professionali. Il personale di questi ultimi non sarà più alle dipendenze dello stato ma della regione. Una sorta di ricostituzione della scuola di avviamento professionale.

Facile comprendere questa mossa federalistica se si pensa che l’estensore del documento, Valentina Aprea, milita nelle file della Lega Nord.

Ma il problema più grave è che la gestione regionale delle scuola, sottratta a criteri statali, diverrà oggetto di clientele e interessi localistici, anche in considerazione dell’introduzione della chiamata diretta degli insegnanti, probabilmente senza seguire una graduatoria.

Inoltre le scuole potranno diventare Fondazioni di diritto privato nelle quali i presidi diventeranno manager e il consiglio di istituto sarà sostituito dal consiglio di amministrazione. Come se la scuola fosse la Fiat, ma senza i finanziamenti statali.
Scuola di classe?

La scuola ormai diventata Fondazione potrà decidere di imporre una tassazione agli studenti ed affidare le cattedre a chiamata. Quindi, potrà affidare le cattedre agli ‘amici’ o comunque imporre una certa linea di insegnamento. E se sommiamo questo fatto alla divisione tra licei e professionali possiamo chiaramente immaginarci un quadro ante anni ’60 dove avremo alcune scuole che saranno frequentate dai futuri manager, ovviamente figli di ricchi che potranno permettersi queste scuole, e dall’altra parte tutti gli altri. Entro i 14 anni si deciderà se una ragazzo dovrà diventare manager, imprenditore, operaio, sfruttato, straccione, emarginato, etc…

A fare da cornice a tutto ciò c’è un tagli imponente di 8 miliardi di euro in 3 anni alla scuola pubblica, che determinerà un massiccio riciclo degli insegnanti ovvero un maggior numero di studenti per classe e più ore per cattedra.

Non esisteranno più le classi di concorso specifiche, ma solo macro-aree. Un insegnante di lettere potrebbe essere chiamato da un preside manager a ricoprire una cattedra di filosofia, un abilitato in filosofia a ricoprire una cattedra di diritto, un laureato in matematica a ricoprire una cattedra di educazione tecnica nelle medie e altre amenità simili.

Provveditorato di Perugia: il potere ai burocrati!

Ultima considerazione sull’atteggiamento del provveditorato di Perugia. Assolutamente aderente alle volontà di qualsiasi governo, il provveditore da perfetto burocrate preferisce non assumersi responsabilità, licenziare e precarizzare e non alzare mai la voce per denunciare questa indecenza.”

Salvarsi dal provvedimento salva precari

Ci lasciamo con un amaro commento sul provvedimento c.d. ‘salva precari’, che altro non è se non un nuovo nome, e un’appropriazione indebita, di provvedimenti già esistenti, riproposti con un altro nome e sotto altre vestigia: l’indennità di disoccupazione è già percepita dai precari ed erogata dall’INPS, non dal ministero (naturalmente!), la sbandierata ‘corsia preferenziale’ per le supplenze brevi è già esistente, visto che fino ad ora il reclutamento anche dei supplenti avviene sulla base di graduatorie e quindi chi sta avanti sta avanti senza bisogno di ‘generose preferenze’ da parte della ministra!

Posted in Scritti da onda perugia.