di Maria Rosaria Marella
Vengono chiamati ‘riforme’ i ripetuti attacchi del governo alla scuola e all’università. Ma non si possono chiamare riforme interventi che legittimano i tagli già fatti e ne preparano di ulteriori e non si possono fare riforme che non implichino impegni di spesa.
E allora è chiaro che le c.d. riforme sono attacchi al ‘culturame’, a istituzioni considerate covi di cattivi maestri, di intollerabile opposizione politica e di resistenza e perciò raffigurate come luoghi di privilegio, di sprechi, di inefficienza, secondo una logica che vede tutto il pubblico come improduttivo, parassitario, fonte di sussidi per chi – studenti e docenti – è un peso per la società.
Contemporaneamente è altresì chiaro che la mortificazione dell’istruzione e della ricerca pubblica non è solo frutto di ideologia: lo smantellamento dell’università strizza l’occhio, con qualche miopia, ad un’imprenditoria che guadagna ancora più titolo a sfruttare in maniera parassitaria i risultati della ricerca pubblica senza investirvi un solo euro, mentre la distruzione della scuola della repubblica prelude all’apertura di spazi sin ora inimmaginabili per l’istruzione privata, organizzata sulla base di orientamenti confessionali e ‘di tendenza’, nonché consorterie di vario genere, in un paese dove non è difficile immaginare chi per vocazione, organizzazione e disponibilità finanziaria sarà principalmente in grado di approfittarne.
La legge 133/08 e ora il DDL Gelmini e il disegno Aprea disegnano rispettivamente un’università e una scuola che non sono per gli studenti, degli studenti, visto che il loro ruolo nella progettazione di istituzioni sempre più gerarchiche e sempre meno democratiche è pari a zero. E non sono neanche dei docenti, costantemente delegittimati da interventi legislativi e regolamentari che ne sviliscono la funzione, che riducono gli spazi di collegialità e autonomia e calpestano la libertà di insegnamento e di ricerca brandendo come minacce degli strumenti di valutazione la cui indeterminatezza fa legittimamente temere un uso arbitrario e repressivo.
Tutto questo si tenta di giustificare con la retorica della produttività, che snatura il ruolo di laboratorio di democrazia e eguaglianza della scuola pubblica, il carattere di comunità dei saperi, di universitas, appunto, delle università, riducendo gli studenti a meri utenti, a ‘consumatori’, e la didattica e la ricerca a ‘prodotti’ che si misurano e confezionano a colpi di atti normativi, con l’occhio ad una confusa idea di mercato che solo potrebbe legittimarne l’offerta.
E’ invece necessario rivendicare il carattere di bene comune dell’istruzione e della conoscenza, della scuola, dell’università e della ricerca. E rivendicare il carattere di produzione sociale, e con ciò il valore economico in sé, della presenza degli studenti nelle scuole e nelle università, dello studio, dell’insegnamento, della ricerca. La precarietà delle condizioni di lavoro di chi insegna e ricerca in Italia corrisponde ad un’illegittima espropriazione del valore ai danni di chi lo produce. La presenza di ‘esterni’ nei CdA degli atenei, progettata dal disegno Gelmini, è addirittura l’attribuzione diretta di quel valore a chi non investe e non partecipa alla sua produzione.
L’aumento delle tasse universitarie e l’introduzione del prestito d’onore preludono ad una selezione in senso censitario dell’accesso allo studio universitario. In ciò negano il carattere di bene comune dell’istruzione e calpestano il diritto allo studio che hanno fondamento nei principi della costituzione democratica e non possono essere compressi dalle scelte di una maggioranza parlamentare.
Non si può pensare di arginare lo smantellamento complessivo dell’istruzione pubblica negoziando col governo qualche aggiustamento del DDL Gelmini, qualche temperamento al disegno Aprea e agli altri provvedimenti finalizzati al ‘riordino’ della scuola media. Bisogna invece resistere. Opporsi radicalmente alla loro logica. Costituire un fronte comune che metta insieme studenti medi e studenti universitari, insegnanti precari e precari della ricerca, docenti della scuola e docenti dell’università.