Bistoni conferma di credersi re assoluto dell’università di perugia, che fra poco diventerà il suo giardino di casa. Con questa mossa della nomina arbitraria dei professori emeriti prende due piccioni con una fava: riafferma il suo sistema di potere e risparmia soldi che sarebbero serviti per l’assunzione di nuovi professori ordinari. Conseguenze: i/le precar* possono dire addio alla possibilità di accedere alla docenza ordinaria.
di Alessandro Antonini
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Studia studia, ci sono riusciti. All’università di Perugia hanno trovato il modo di far lavorare i cosiddetti “baroni” anche dopo la pensione. La soluzione è l’uovo di Colombo: i professori emeriti “fai-da-te”. Grazie alla modifica del regolamento di ateneo i docenti che, pur avendo superato l’età contributiva, siano premiati dal rettore (nella sua piena discrezionalità) con il titolo di “emerito”, potrebbero continuare a svolgere in tutto e per tutto la loro attività all’interno dell’università, in barba alle “censure” di Brunetta e della Gelmini (omonima riforma e legge 1088). Uno zoccolo duro del personale docente ha ravvisato una violazione delle normative nazionali e ha deciso di inviare una lettera aperta per denunciare il tutto. “L’università di Perugia, o meglio il suo senato accademico – è scritto nella lettera pubblicata on line dal sito www.latramontanaperugia.it – ha recentemente messo a punto un proprio ‘regolamento sulle attività dei professori emeriti’, (d.r. n. 2077 del 5.10.2009) che attribuisce al solo rettore il potere di conferire l’ambìto titolo. Inoltre, sempre secondo il regolamento, i ‘nuovi’ professori emeriti, pur non facendo parte del personale di ruolo, possono essere responsabili di progetti di ricerca, richiedere e gestire finanziamenti, ricoprire incarichi accademici come l’insegnamento nei corsi ufficiali, la partecipazione ai consigli di dipartimento e di corso di studio, la presidenza delle commissioni di laurea ecc, con l’esclusione della partecipazione al consiglio di Facoltà e la possibilità di ricoprire il ruolo di preside: in pratica quasi ‘tutto come prima’: basta essere amici ‘vicini’ al rettore, farsi nominare emeriti e il gioco è fatto. La cosa strana è che nessuno si è accorto che questo regolamento è in contrasto con le leggi nazionali. Infatti secondo la legge n. 311/58 (Gu n. 091 del 15/04/1958) che richiama l’art. 111 del “Testo Unico delle leggi sull’istruzione superiore” Rd n. 1592/33, il conferimento del titolo di professore emerito spetta alle più alte cariche dello stato “previa deliberazione della facoltà cui l’interessato apparteneva all’atto della cessazione dal servizio” e non spetta certo all’arbitrio del rettore come vuole il regolamento. Non solo: Sempre secondo le leggi nazionali ‘al professore emerito non competono particolari prerogative accademiche’ dove invece il regolamento concede i molti ruoli accademici sopra citati. Possibile che a nessuno sia venuto in mente di sollevare qualche dubbio di legittimità?”. C’è da dire che i decreti rettorali passano al vaglio di uffici legali e amministrativi. Al contempo le nuove norme sulle autonomie vanno ad abrogare in tutto o in parte anche leggi pregresse. I cavilli sono tanti, in alcuni casi innumerevoli, e le interpretazioni sovente sono sempre legittime anche se in antitesi fra loro. Dunque resta sospeso il giudizio sul problema sollevato: ossia se le modifiche regolamentari siano in contrasto più o meno netto con le leggi nazionali. Di altra natura è l’opportunità, per dir così, “politica”: mettere mano alle regole interne dell’università, dando la possibilità ai docenti in pensione di continuare di fatto a fare quello che facevano prima, in un mondo (come quello accademico ma non solo) dove il naturale ricambio – quando va bene – sono ricercatori e assegnisti eternamente precari, gente che vive con la remota speranza di continuare a fare ricerca senza morire di fame. E la chimera di una docenza che, a conti fatti, non ci sarà mai
Alessandro Antonini