di Alessandra Bullegas
da unimagazine
Qualcosa non va nell’Università italiana. Le cause di tale disfacimento sono tante e da ricercare non solo in un passato recente ma anche in quello più lontano. La percentuale dei ragazzi che si iscrivono all’università è tornata sotto il 70% e il tasso di abbandono dopo il primo anno è del 20%
Qualcosa non va nell’Università italiana. Le cause di tale
disfacimento sono tante e da ricercare non solo in un passato recente
ma anche in quello più lontano. A partire dalle riforme degli anni
’90, infatti, ossia quelle riguardanti i concorsi e l’introduzione
delle lauree in successione : il 3+2. I concorsi locali, con la
moltiplicazione delle commissioni e le triple e doppie idoneità, hanno
fornito un incentivo perverso ad accordi di scambio tra sedi o gruppi
di professori: votarsi a vicenda per la composizione delle commissioni
di concorso ed appoggiare, a vicenda, i rispettivi candidati è divenuta
pratica pressoché costante.
Per quanto riguarda il sistema del
3+2 , questo ha portato a una rapida e gigantesca moltiplicazione dei
corsi di laurea e alla frammentazione degli insegnamenti; tale sistema
adottato in principio con la buona speranza di apportare una base
metodologica più specifica e adeguata alle richieste della società
moderna, non ha invece soddisfatto questo bisogno. Ha piuttosto
contribuito a duplicare il numero delle lauree rendendo incerta la
laurea breve (nonchè propedeutica al biennio di specializzazione) e
indebolendone le basi che avrebbe dovuto fornire. Per avere un’idea
di cosa ha provocato tale sistema diamo un’occhiata ai numeri che ci
fornisce la banca dati su Internet del Comitato Nazionale per la
valutazione del sistema universitario. Sono 514 mila 539, il 33%,
appena un quarto degli studenti che risultano iscritti nell’anno
accademico 2007/08, quelli perfettamente in regola con gli esami. Il
picco maggiore dei fuori corso si registra nel meridione, a Cagliari il
numero degli studenti in regola si aggira attorno al 19,6%, a Reggio
Calabria i l8,7% a Palermo appena il 14,4%.
Così la
percentuale dei ragazzi che si iscrivono all’università è tornata sotto
il 70% e il tasso di abbandono dopo il primo anno è del 20%. In
controtendenza a una diminuzione degli iscritti, segue un aumento del
numero dei corsi di laurea, incrementati del 32% nel giro di 7 anni.
Aumentate di conseguenza in modo smisurato anche le sedi periferiche,
al punto che in ben 70 di queste c’è solo un corso e in altre 30 appena
due. Ciò porta ovviamente a un aumento dei costi di mantenimento degli
atenei del 23,4% senza che la qualità dell’istruzione sia minimamente
migliorata.
A fornire una visione pessimista ma molto realista di tale situazione è il nuovo libro di Alessandro Monti,
ordinario di Politica economica e docente di Scienza
dell’amministrazione presso la facoltà di Giurisprudenza
dell’università degli studi di Camerino. Un saggio dal titolo “Indagine sul declino dell’Università italiana”,
che indaga sulle cause e suggerisce i fattori che ne determinano il
cattivo funzionamento. Una critica contro le corporazioni accademiche
che antepongono i loro interessi a quelli degli studenti e all’operato
inadeguato dell’azione del Governo, sollevando per lo più da ogni
responsabilità gli studenti vittime del sistema, ormai improntato su
una linea di “riforma permanente” che precarizza il funzionamento degli
atenei. Un altro fattore di destabilizzazione è la troppa autonomia
affidata agli Atenei. La riassunzione da parte del Parlamento di alcune
responsabilità porterebbe con tutta sicurezza a scelte migliori nelle
linee strategiche da seguire nell’istruzione superiore.
Lo stato
attuale del sistema universitario italiano è un cocktail esplosivo di
elementi sbagliati tutti concentrati nello stesso contenitore; e il
risultato è sotto gli occhi di tutti gli studenti.