Roberto Ciccarelli
Alle quattro e mezza, quando la temperatura scende sotto lo zero, il corteo del “Bologna burns” si muove in direzione dell’Hofburg, il palazzo imperiale di Vienna. In serata è prevista la cena di gala in onore del decennale del processo di Bologna, tappa intermedia di un vertice iniziato a Budapest mercoledì durante il quale i 46 ministri europei dell’istruzione hanno deciso di rilanciare la riforma dell’università su scala continentale.
Sotto il nevischio leggero che ricopre la Westbanhof si muove un variegato serpentone composto da partiti, sindacati e dai movimenti studenteschi che in Germania, Austria e Italia, in Spagna, in Francia come in Olanda, in Serbia e in Slovenia si oppongono alla riforma degli ordinamenti didattici, alla riduzione degli investimenti pubblici nella formazione e nella ricerca, all’applicazione delle norme sulla valutazione dei crediti e contro la scansione dei cicli didattici. Secondo il Comitato per la valutazione dell’università italiana, dopo avere applicato per primo e integralmente il processo di Bologna, il nostro paese ha visto diminuire negli ultimi anni il numero dei laureati, registrando la crescita della disoccupazione tra i neo-laureati, provocando la crescente dequalificazione dei saperi trasmessi. Uno scenario temuto nel resto d’Europa che i movimenti, di solito preveggenti su questi temi, cercano di scongiurare.
Dalla piazza si muovono oltre 8 mila persone distinte in sei blocchi, ciascuno con il proprio colore. Si va dal rosa di Attac al blu degli antifa e degli autonomi, dall’arancio del network italiano Uniriot, insieme ai ricercatori precari che qui si autodefiniscono "squatting teachers" e collettivi transgender, al giallo della Linkswende. Il ritmo al corteo, che e andato allargandosi lungo la discesa leggera della Mariahilfer Strasse, lo dà l’affollato "samba block".
La strategia già dichiarata da giorni in un documento diffuso in rete prevede di arrivare alla fine del corteo e poi di costituire blocchi creativi radunati sotto il colore delle rispettive bandiere intorno all’Hofburg. Obiettivo: impedire l’accesso ai ministri invitati. A coordinare questa complessa geografia urbana, l’area infatti è ampia un paio di chilometri, ci pensa la rete comunicativa costituita da un’info-line, diverse ricetrasmittenti con cinque canali ciascuna, twitter e smart phone con i quali si aggiorna in tempo reale la contro-informazione.
Durante le quindici ore di viaggio che hanno portato la delegazione italiana a Vienna si è molto discusso su come usare questa tattica. «Sembra il manuale delle giovani marmotte», ecco l’ironica battuta da cui parte il dibattito. Sì, forse, anche. Ma il manuale rispetta il desiderio di una democrazia orizzontale sulla quale i movimenti europei insistono da tempo. Massima trasparenza nell’azione, massima consapevolezza degli attivisti.
Un piano che è stato ben accolto all’arrivo verso le 10 all’Accademia delle Belle Arti, a 200 metri dall’Hofburg. In una serrata assemblea è stato comunicato che nei blocchi si farà resistenza passiva, non si reagirà a nessuna provocazione, sebbene l’atmosfera sia sembrata tranquilla da subito. Oltre alla disponibilità del palazzo seicentesco, il rettore dell’Accademia ha garantito all’organizzazione 4 mila euro, che vanno ad aggiungersi ai 40 mila del sindacato studentesco Oeh, una realtà istituzionale che durante l’autunno scorso ha partecipato al movimento austriaco delle occupazioni contro l’aumento delle tasse a 300 euro.
Una situazione fluida, ma non priva di tensioni. Nella serata di martedì la facoltà di Scienze politiche è stata occupata in risposta al diniego del rettore dell’Unicampus (facoltà umanistiche e scientifiche) di concedere le aule. Diniego poi rientrato. Su un volantino diffuso in mattinata dal coordinamento si legge infine che il blocco stradale in Austria, se realizzato passivamente, prevede una sanzione amministrativa di poche decine di euro. La prospettiva è quella di restare incordonati nei rispettivi blocchi e seduti indossando pantaloni da neve o incerate. Il ricordo va al controvertice sul clima di Copenaghen. Ma, al momento, non è c’è aria di rastrellamenti.
Nel corso del pomeriggio la zona rossa tra il municipio, il Volkstheater, la Borsa e la Reggia prende forma. Nascono così le nuove frontiere in Europa. Oggi anche il cuore di Vienna è diviso in due. Da un lato, c’è chi ha deciso di ridurre la formazione universitaria a curricula contingentati, basati su test a risposta multipla e sulla numerologia calcistica del 3+2+3 (laurea breve, specialistica e dottorato) che ha profondamente modificato la mentalità della generazione studentesca nata negli anni ’80. Dall’altro lato, c’è chi rifiuta che la conoscenza sia riducibile all’unità di misura del credito (e del debito), a un sapere valutato in nome delle performance e degli skill professionalizzanti. Da una parte, il mondo del comando e dell’obbedienza dove si impara a occupare meno posto possibile, accettando persino il rischio della scomparsa. Dall’altra parte, un mondo che si impegna a coniugare la ricerca dell’autonomia individuale con un sapere critico e pubblico. Una frontiera che ha dimostrato però di non essere del tutto impenetrabile. La reggia viene raggiunta alle sette. Gli striscioni e i cartelli vengono appesi ai cancelli dell’Hofburg. Ricominciano gli interventi dai camion. Parlano le ragazze della seconda generazione immigrata, vogliono un’università dove l a nascita non conta e vige un diritto universale all’accesso. Dopo mezzora, cambio di programma. Imprevedibile scatta la "manif sauvage", puro stile francese nelle strade del centro storico asburgico. Scompiglio generale rispetto all’immobilità programmata. Tra il traffico impazzito si riparte alla conquista dei blocchi previsti. Il controvertice di Vienna prosegue oggi e domani con una quarantina di workshop autogestiti e terminerà con la presentazione di una "dichiarazione" dei movimenti.
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