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Mediterraneo in rivolta. Crisi, formazione e povertà

da uniriot

In queste settimane stiamo assistendo a numerose manifestazioni e proteste in tutto il Mediterraneo e, nonostante il diffuso oscuramento mediatico, video e foto dilagano sul web. Due settimane di proteste e scontri in Tunisia, dove decine di migliaia di laureati senza lavoro sono scesi in piazza, anche qui giovani che non vedono soddisfatte le loro aspettative, e al contrario, continuano a farsi carico degli effetti della crisi. Le poche notizie che trapelano parlano chiaro: tre giovani disoccupati si sono dati fuoco, un altro si è gettato sui fili dell’alta tensione, e la polizia continua a caricare ed arrestare ininterrottamente i manifestanti, fino ad uccidere un ragazzo, raggiunto più volte dai proiettili. (Repubblica.it)

Così si comincia ad agitare lo spettro del contagio, e in Algeria si guarda ai fatti tunisini con apprensione dopo gli scontri degli ultimi giorni, non più nella sola Algeri, ma diffusi in tutto il paese. Le motivazioni che sarebbero alla base delle proteste riguardano l’aumento generalizzato dei beni alimentari e la disoccupazione incalzante. Sicuramente il perdurare della crisi e le nefaste misure governative svolgono il loro ruolo, ma al di là del rassicurante immaginario delle “rivolte del pane”, così come le hanno definite alcuni giornali, bisognerebbe piuttosto interrogarsi sulle nuove forme di povertà in paesi dove i giovani rappresentano il 75% della popolazione e molti di loro, soprattutto in Tunisia, dopo essersi laureati, non trovano alcun lavoro adeguato ai loro studi e alle loro aspettative di vita.

(News: AlJazeera;Ansa; BBC; ElPaìsNena-news )

(Video 12)

Ma non è solo un problema di composizione della nuova forza lavoro disoccupata, non solo il vuoto di futuro e l’assenza di prospettive lavorative. Si sta definendo la piega che deve prendere la trasformazione di paesi come Tunisia, Marocco e Algeria dove i giovani reclamano una vita all’altezza delle proprie aspettative, e un nuovo modo di far politica distante dai vecchi regimi o da un neoliberismo ormai decaduto. Per i governi, invece, si gioca il tentativo di ridefinire l’economia del Maghreb e dei suoi flussi migratori, intrecciando le diaspore con la formazione, per utilizzare al meglio la forza lavoro cognitiva a basso costo. Non a caso, a dicembre, gli Stati Uniti e cinque paesi nord-africani (Algeria, Libia, Marocco, Mauritania  e Tunisia) hanno stipulato un nuovo accordo, il NAPEO, per promuovere la cooperazione tra università e imprese. La cooperazione regionale e l’abbattimento delle frontiere assume di nuovo i contorni dello sfruttamento del lavoro high skill, ma questa volta in rete e attraverso i social network. Infatti, professori ed esperti del Maghreb, e della diaspora nord-africana, saranno connessi attraverso un centro d’eccellenza per l’impresa che organizzerà stage e programmi d’inserimento al lavoro negli US per i giovani maghrebini. Una sorta di agenzia interinale della formazione che, tramite il web 2.0, muove forza lavoro giovane per impiegarla, gratuitamente of course, nelle imprese statunitensi. Gli esperti della higher education lo definiscono il primo passo verso la costruzione del “sistema educativo imprenditoriale”, base necessaria per lanciare un’economia della conoscenza in Africa.

Sembra che i giovani del Maghreb non la pensino allo stesso modo e forse, la pagnotta di pane, la stavano piuttosto tirando alla polizia…

Posted in Rassegna Stampa.