All’Università di Perugia spira vento di riforma. Le riforme oggi non sono quelle che si pensavano nei decenni precedenti, sono restrizioni di servizi e di diritti, aumenti di tasse, mercantilizzazione delle strutture pubbliche. La ministra Gelmini sta pensando di rimettere ordine nelle Università. Ciò significa dare il governo dell’istituzione ai manager, introdurre nei consigli di amministrazione soggetti economici ed enti locali come nelle Fondazioni bancarie e nelle Asl. Non solo, la ministra, o meglio Giulio Tremonti, ritiene che la struttura costi troppo, che ci vogliano meno professori di ruolo e più precari. Tutto questo sconta qualche contrarietà dei professori universitari. Allora, come per il piano casa, si fa un accordo tacito. Se anticipi la riforma avrai soldi per sopravvivere, altrimenti ti strangoliamo. Le università cercano di ridurre il danno e anticipano la “riforma”. Perugia non è da meno. Dopo aver trattato al ministero dichiara di ridurre i dipartimenti da 29 a 17 e i poli amministrativi a 6. La promessa è che il prossimo anno si riavranno i 6 miliardi negati quest’anno. Il testo del governo prevede che i dipartimenti assumano non solo compiti di ricerca, ma anche didattici e di programmazione del reclutamento dei professori, che finora erano appannaggio delle facoltà, che dovrebbero in prospettiva sparire. Ma, in realtà, a Perugia si parla di una strutturazione che prevede 3 dipartimenti medici, 3 scientifici, 2 ingegneristici, 2 letterari e umanistici, 1 per tutte le altre. In conclusione, poiché si prevede che le facoltà possano coordinare dipartimenti, dove ce n’è più di uno resteranno, negli altri casi coincideranno con il dipartimento. Insomma “fatta la festa gabbato lu santo”. Più semplice la questione per i poli amministrativi: via via che andranno in pensione i dirigenti apicali i servizi verranno accorpati, evitando nuove assunzioni e promozioni. Resta il problema delle sedi decentrate. Qualcuna verrà chiusa (Assisi), qualcun’altra ridimensionata (a Terni resteranno solo medicina, ingegneria e forse economia), mentre rimarrà scienza dell’investigazione a Narni (serve a laureare ispettori di polizia e marescialli di carabinieri e guardia di finanza, per farli accedere ai gradi superiori). Insomma la “riforma” è frutto dell’allegra amministrazione del passato, dovuta al perverso intreccio delle politiche ministeriali e degli interessi della corporazione, e della volontà governativa di ridurre costi e servizi che contratta con la parte forte della corporazione che continuerà a cogestire l’Università con le burocrazie del Ministero.
Infine: siamo sicuri che non verranno prorogati i mandati dei rettori in carica, anche di quelli che hanno fatto tre o quattro mandati, per far loro gestire il passaggio? Sicuramente molti degli attuali presidi diventeranno direttori di dipartimento.
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