
La Rete 29 aprile contesta la decisione dei rettori di ricorrere a docenti a contratto per sostituire chi si astiene dalla didattica. “Così si abbassa la qualità”. Venerdì una grande assemblea alla Sapienza di Roma
Un presidio di protesta alla Statale di Milano Anno accademico a rischio non solo a Bologna con il braccio di ferro tra rettore e ricercatori. Il fronte della protesta dei ricercatori indisponibili alla didattica cresce di ora in ora ed è presente a macchia di leopardo nei principali atenei pubblici italiani. Si stanno moltiplicando le iniziative di mobilitazione contro il disegno di legge Gelmini, per decidere quali altre forme di lotta intraprendere in un autunno che si preannuncia molto caldo per l’università. Il primo momento clou si avrà venerdì 17 alle ore 12, quando scadrà l’ultimatum del rettore dell’ateneo di Bologna: i ricercatori che non comunicheranno la propria disponibilità alla didattica saranno rimpiazzati da docenti esterni.
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Non uno dei 36 docenti che servono per attivare le esercitazioni del corso di Analisi I, sarà presente all’appello del 12 ottobre ad Architettura, dove la protesta dei ricercatori ha raggiunto adesioni vicine al 100 per cento. Nessun professore ha risposto al bando della Facoltà di Economia per coprire le 1500 ore di didattica che restano scoperte. A Lettere, Psicologia, Medicina Veterinaria, Scienze della Formazione, Scienze, mancheranno dal 70 al 90 per cento dei ricercatori che normalmente sono titolari di corsi e che oggi, ufficialmente, chiedono un nuovo rinvio dell’inizio delle lezioni. Rinvio o addirittura stop. “La situazione in alcune facoltà, come Architettura, è irrecuperabile – dice Danilo Bazzanella, matematico, referente di ateneo per la Rete 29 aprile (la rete nazionale di protesta dei ricercatori) – non saranno bandite cattedre perché non ci sono soldi e tutti gli interni hanno dato forfait”. 
