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La filosofia tradita

di Anna Simone

Dopo l’Università formato Ikea che compone e ricompone i saperi, trasformando i docenti in dispensatori di crediti formativi e gli studenti in casalinghe impazzite che accumulano punti pur di vincere il premio-laurea, un altro oscuro e quanto mai discutibile fenomeno sembra attanagliare le menti, financo quelle più illuminate: i festival.

Già solo in questo mese abbiamo visto susseguirsi, in ordine cronologico, il festival del cinema, il festival della letteratura a Mantova, il festival della filosofia a Modena-Carpi-Sassuolo e ora persino il festival del diritto che si terrà a Piacenza dal 24 al 27 settembre. Ma se il festival del cinema può vantare una sua storia, discutibilissima nell’offerta cinematografica a tratti oscurata da starlette dell’ultim’ora e da una pre-selezione niente affatto scevra dai meccanismi di chi detiene il potere nel settore, gli altri tre sono fenomeni recenti e niente affatto innocui rispetto a come si va trasformando la trasmissione e la produzione di cultura in questo paese. Sono davvero passati anni luce da quando un signore di nome Socrate intratteneva i suoi giovinetti attorno a problematiche fondamentali per favorire lo sviluppo del pensiero, ma sono passati anche anni luce da quando la maggior parte dei saperi si producevano criticamente e in antitesi a quelli prodotti dal "sistema" universitario andandosi a diluire nella costruzione di un lessico comune che ha generato fasi fondamentali della nostra storia politica: il femminismo, il movimento studentesco, le lotte per i diritti civili e sociali. Un lessico della libertà che interrompeva quel famoso nesso tra sapere e potere per far diventare lo stesso sapere una forma alta di produzione autonoma del conflitto.

Oggi il proliferare dei festival ha azzerato del tutto quella forma di produzione dei saperi e in un colpo solo ha favorito la nascita di una cultura di massa, anonima e acritica, del tutto prossima a cementificare una mercificazione sempre più massiccia della letteratura, della filosofia e financo del diritto. Un primo punto sul quale vale la pena soffermarsi concerne proprio il rapporto tra produzione di cultura e università. Quando Marcuse negli anni ’60 faceva i suoi discorsi agli studenti mostrando loro come potesse essere possibile frequentare l’università e contemporaneamente ragionare in autonomia dai docenti o quando Foucault, alcuni anni dopo, decostruiva pezzo per pezzo ogni connessione possibile tra saperi e poteri, anteponendo la libertà ad ogni forma di codificazione disciplinare, i saperi erano ancora sinonimo di conflitto. Un conflitto che si giocava dentro e fuori le università. Adesso non è più così. Le università producono saperi super-specialistici e acritici, possibilmente anche lontani da ogni ideologia politica. Contemporanemente tutto quel che si produce fuori, organizzato da quegli stessi docenti universitari che non protesterebbero mai né contro la Gelmini, né contro nessun altro, almeno fino a che qualcuno non gli tolga lo scranno del potere con la forza, assume la forma del festival, magari anche corredato da altre forme d’arte, da buon cibo e da chiacchiericcio filosofico, letterario e giuridico.

"Culturame"? No, abbandono definitivo di un’idea del sapere legata alla politica e al conflitto attraverso cui le note case editrici italiane che detengono pressappoco tutto il mercato della saggistica filosofica e giuridica tra le mani (Feltrinelli in quota sinistra radicale, Einaudi in quota sinistra liberale, Mondadori in quota "generica" dal momento che pubblica tutto, Laterza in quota ex Pci ora tendente al Pd) promuovono i loro beniamini della filosofia e del diritto. Tranne qualche eccezione a parlare sono sempre i soliti noti: moderati, melliflui, eruditi, quasi inutili e lontani anni luce dal conflitto. Eppure sempre presenti, performativi quanto basta, tanto dopo ogni festival si torna a casa felici e contenti come quando, durante le vacanze, si prova quello straordinario piacere che procurano le sagre di paese. Si torna a casa e basta. Se un tempo erano le "masse" a produrre la cultura, oggi è la cultura promossa dalle case editrici main stream a "produrre" le masse. Il festival di filosofia di Modena che ha visto protagonista il tema della "comunità" con le solite lectio magistralis di Bodei (che ne è l’organizzatore), Cacciari, Ferraris etc. è un esempio empiricamente valido di questa cultura dei festival. Qualche borsa di studio messa in palio con i soldi degli sponsor agli studenti (ma perché non si può fare la stessa cosa nelle università?), un numero in quantificabile di dibattiti politically correct, un protagonista (il filosofo) ed una massa-pubblico che ascolta. Al di là delle buone intenzioni, che sicuramente muovono questo genere di iniziative, tra cui senz’altro vi è quella dell’avvicinare la "gente" (categoria astratta tanto quanto vana) alla filosofia, il modello che di fatto si riproduce è quello nicciano del gregge e del pastore. E già perché la "gente", mediamente, se legge di suo non ha bisogno di mitizzare il suo filosofo-eroe come fosse Madonna ma, semmai, ha bisogno di discutervi. L’esaltazione della filosofia, con tanto di maggiordomi inviati speciali di Repubblica e il Manifesto, equivale in questo caso alla morte stessa della filosofia. La si rende un prodotto da supermercato nello stesso identico modo attraverso cui la cultura dei Mega Store, voluta da Feltrinelli, trasforma i librai in venditori di gadgets. Per non parlare poi della nascente figura professionale del "consulente filosofico", molto avallata da tutti questi filosofi di grido che frequentano i festival, che ha di fatto trasformato la filosofia in uno strumento di marketing aziendale. E il diritto? Non ne parliamo. Anzi ne parliamo inutilmente tra le bellezze di Piacenza a partire da domani in un pomposo festival che come sempre perde la sua occasione fondamentale. Si parlerà di pubblico e privato, con molte relazioni in difesa della Costituzione, Laterza venderà molti libri, ma della "fine del diritto", quel fenomeno reale che uccide gli immigrati nel Mediterraneo, quello che consente lo sgombero di Calais e l’esistenza dei centri di detenzione in Europa per i dannati della terra, neanche l’ombra. Solo vaghe considerazioni edificanti su come la globalizzazione ha cambiato il diritto. Bene, anche il diritto avrà adesso i suoi pastori e le sue greggi. D’altronde tanti anni fa, un signore barbuto di Treviri, di nome Carlo Marx lo aveva già detto: il diritto è solo espressione delle classi borghesi. Certo, lui pensava che bisognava contrapporgli il conflitto di classe, termine ormai divenuto desueto, data la composizione sociale del presente. Tuttavia con il senno di poi, liberandoci di qualche dogma del ‘900, possiamo tranquillamente dire anche noi che non aveva tutti i torti!

Posted in Rassegna Stampa.