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Proiezione documentario “Youngstown. Un’altra volta, un’altra onda” Venerdi 30 Aprile ore 16:30. A seguire aperitivo.

Venerdi 30 alle ore 16:30 presso l’Aula Magna della Facoltà di Lettere e FIlosofia avrà luogo la proiezione del documentario "Youngstown. Un’altra volta, un’altra onda".

A seguire, alle ore 20:00, aperitivo di autofinanziamento presso il Commonslab, via della sposa n.1

leggi la recensione di Anna Simone

leggi la scheda tecnica in pdf

recensione da global project

guarda il trailer

leggi la recensione di Benedetto Vecchi

 

 

1. INFORMAZIONI GENERALI
Titolo: Youngstown. Un’altra volta, un’altra Onda.
Regia: Manuela Costa, Maurizio ‘gibo’ Gibertini
Paese di produzione: Italia
Anno di produzione: 2009
Genere: documentario
Durata (in minuti): 1h 35’
Cromaticità: colore/bn
Interpreti: Elisa Coccia, Yaser Mohammed
Soggetto: Manuela Costa, Maurizio ‘gibo’ Gibertini
Collaborazione ai testi: Chicco Funaro, Mario Gamba
Immagini: Gaia Alberti (Venezia), Giulio Ancora (Cosenza), Erasmo Catavolo (Roma), Andrea Campioni (Roma) Manuela Costa
(Roma), Veronica Del Solda per C6.tv (Milano), Interact per Archivio Alberto Grifi, Maurizio ‘gibo’ Gibertini (Roma), Ivan Grifi per
Archivio Alberto Grifi, Marta Malaspina (Torino), Teo Todeschini per C6.tv (Milano)
Montaggio: Manuela Costa, Maurizio ‘gibo’ Gibertini
Suono: Sergio Colicchio
Ufficio Stampa: Officina Multimediale
Musica: Sergio Colicchio
Produzione: Officina Multimediale_M’ArtE
2. CARATTERISTICHE TECNICHE
Formato delle riprese: MiniDV PAL 720×576 (768×576); 16-bit stereo 48,000 Khz
Formato della copia (proiezione): BETACAM / DVCAM / MiniDv / DVD–R (zona “2”)
Lingua dei dialoghi: Italiano
3. SINOSSI
«Mentre voi avevate il settimo cavalleggeri, il napalm e le bombe di Hiroshima e Nagasaki, noi avevamo appena una
vecchia moviola in un sottoscala per farvi a pezzi… .»
Alberto Grifi
L’approvazione dei decreti legge n° 112/2008 e n° 137/2008 adottati durante l’estate – momento elettivo per
sancire le nefandezze della politica istituzionale – e convertiti rispettivamente in legge n° 133 del 6 agosto 2008 e
legge n° 169 del 29 ottobre 2008 aggredisce i tre livelli dell’istruzione pubblica con tagli alle risorse che traducono
inequivocabilmente l’intento di sistematico smantellamento del sistema della formazione.
Un progetto avviato dalla sinistra e proseguito a destra con non minore scrupolo: negli ultimi dieci anni
‘destituzione di senso’ e ‘riforma’ hanno assunto in ambito istituzionale un’allarmante sinonimia.
L’apporto della riforma Gelmini – aldilà delle presunte astuzie comunicative – è il tentativo per differenziare i
finanziamenti agli atenei, usare la retorica del merito per dequalificare i saperi e costruire gerarchie nel mercato del
lavoro, imporre una presunta logica dell’efficienza produttiva per innalzare le rette, rafforzare i numeri chiusi e
introdurre i prestiti d’onore, ossia quel meccanismo del debito che sostanzia i processi di finanziamento del
welfare.
Questo quadro sarebbe incompleto senza menzionare la questione di una crisi – “la” crisi – cominciata nel 2007 col
crollo del sistema del debito e dei sub-prime degli Stati Uniti. Il taglio drastico dei fondi al sistema della formazione
pubblica declina così una doppia congiuntura: il disfacimento del sistema della formazione in Italia amplificato dalla
recessione economica globale.

 

L’Onda Anomala – nome e corpo collettivo – è destinata a qualificarsi come primo grande movimento – senz’altro
in Italia, clamoroso tuttavia anche nel panorama internazionale – in grado di rovesciare la crisi in spazio di
opportunità, in spazio di possibilità di conflitto, in spazio di costruzione di altra università.
Ed ecco che – già dall’estate, poi in modo corposo a settembre e con l’inizio di ottobre del 2008 – la parola d’ordine
irrompe nelle università – «noi la crisi non la paghiamo!» – ed immediatamente migliaia e decine di migliaia e
centinaia di migliaia di studenti iniziano a prendere parola nelle assemblee.
«Noi la crisi non la paghiamo!» diventa così l’espressione di un’intelligenza collettiva che si forma nelle lotte ed
esprime il rifiuto a pagare i costi della crisi globale. Significa in primo luogo la richiesta di abrogazione delle leggi
133 e 137, strumenti cardinali di dismissione di scuola ed università.
4. NOTE SULLA NARRAZIONE
Questo movimento ha in sé la critica e la proposta, mostra capacità d’analisi e di azione, rompe i recinti, supera gli
steccati, unifica le componenti del mondo accademico: studenti, professori, nelle loro diverse fasce, personale
amministrativo e i tanti e variegati “precari”, vero tessuto connettivo del mondo universitario e il prezioso collante
fra studenti e docenti. Ricercatori – pagati nominalmente per fare ricerca – spesso titolari di corsi al pari dei docenti
ordinari e associati. Ancora, dottorandi, borsisti, assegnisti, che sovente hanno anni di lavoro organizzativo e
didattico alle spalle, gravati di compiti ed incombenze necessari al funzionamento della macchina universitaria,
spesso a danno del lavoro scientifico.
Si tratta di un’occasione da non perdere. Non solo per dire no alla ministra, ma per rivendicare dignità e
riconoscimento di funzione e pretendere che l’istituzione sappia impostare diversamente il loro lavoro. Sappia
diversamente pensare il loro futuro.
È forse una conseguenza inevitabile di anni di dequalificazione psicologica e materiale, che in tutte le città d’Italia
si siano date le stesse dinamiche, negli stessi momenti e con le stesse parole d’ordine.
Metà ottobre. Alla manifestazione dei sindacati di base, mezzo milione di persone si è ritrovato per le strade di
Roma, incurante della pioggia che, da lì in poi, non l’avrebbe quasi mai abbandonato. Nasce l’Onda.
Roma in questi giorni è una città fredda e irreale.
In un bar di via Cavour – è una mattina livida d’autunno – le voci della prima colazione vengono
improvvisamente sovrastate da un vecchio coro, che dalla strada si fa forza e insiste: «Se non
cambierà…».
Novembre di nubifragi e rivolta.
Un’agenzia interinale occupata. Dal balcone dello stabilimento sventola uno striscione: «Ci state
rubando il futuro».
La capacità di cooperazione dalle differenze, quindi. In quel modo particolare di condividere ed aggregare che è
senz’altro la cifra distintiva della mobilitazione: vitalità, produzione del comune, significazione attraverso la
riappropriazione della propria esistenza politica, collettiva. Lo spazio pubblico come luogo di vita e non di
telecomandi. Il rifiuto della riduzione della partecipazione legittimata tutt’al più nella veste di audience televisivo,
target pubblicitario e – nella scuola – di contenitori da riempire di nozioncine, ‘difesi’ da grembiulini e controllati da
voti in condotta dallo stesso sapore “reumatico” del leggere-scrivere-fare di conto di cinquant’anni fa.
Grandi Valori sul vuoto delle esistenze e nel deserto delle relazioni.
E la protesta si fa spettacolo…e lo spettacolo si fa protesta, in quel modo di darsi lontano dalla paura che governa
il discorso della politica ufficiale, lontano dall’angoscia. Chi vuole contestare una società cialtrona, villana e
rancorosa non può che essere serio, gentile e gioioso.
È una società in miniatura fatta di giuristi, giornalisti, economisti, scienziati, pedagoghi, medici, ingegneri…
Una “chiamata alle armi” di chi produce la propria scrittura sul presente con testualità eterogenee ed una
temporalità senza soluzione di continuità.
Mattino, pomeriggio. Si riempie anche la notte. Si sconfina, s’invade la notte. Forse in onore del tempo
pieno. Forse perché è la sfera del desiderio. Forse perché bisogna essere fuori misura. Durare ‘nel’
tempo.
Le attività terminano quando comincia la notte. O forse no: si parla ancora. Si confessano – sotto il cielo,
nero – i desideri di bellezza.
«Per la politica perbene ci spiace, ma la vita è troppo gioiosa per farsi parlare addosso!»

 

 

 

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