La precarietà colpisce le vite di tutti e di ciascuno. Non sempre questi colpi arrivano direttamente e scopertamente. Può capitare che la minaccia continua del licenziamento costringa a lavori in condizioni di sicurezza nulle, ma capita anche ed è, a vari livelli, condizione largamente diffusa, che lo stato di continua ed irrimediabile insicurezza a cui si è costretti diventi insostenibile condizione esistenziale, un tossico che corrode poco alla volta ogni pulsione fino a portare ad una disperazione annichilente.
Così la morte di Norman Zarcone, che a 27 anni ha deciso di gettarsi dal settimo piano della facoltà di lettere e filosofia, non è una questione solo personale. Il padre ha avuto modo di parlarne come di un ‘omicidio di stato’, è un ottima definizione. Ad agire sulla sua vita rendendola alla fine insopportabile, un iter universitario ricco solo di umiliazioni e vicoli ciechi. Un dottorato di ricerca senza borsa, privo di una, benché minima, speranza di ottenere anche solo la parvenza di una stabilità. Un’esistenza condotta senza neanche la speranza di potersi costruire un progetto di vita, abbandonandosi alla contingenza, ostaggio di ogni accidente.
L’aleatorietà delle esistenze di chi vive oggi il mondo dell’università (condizione comunque generale) è ben esemplificato da questa vicenda. Un dottorato senza borsa, che i posti desiderabili sono riservati alle dinastie baronali (secondo il modello ibrido, feudale-neoliberista, caratteristico dei nostri atenei e incentivato dai vertici ministeriali degli ultimi decenni con le varie riforme), in una condizione di sempre maggiore marginalità accademica. Anni di duro lavoro che divengono poco alla volta insensati. Dunque questa morte, che è certamente una tragedia ‘privata’, assume per la sua generalità, per il suo essere esito estremo di una condizione diffusa, un carattere di esemplarità che chiama tutti ad una partecipazione e riflessione comune. Ciò che è necessario comprendere è che questo (in modo diverso ma comunque assimilabile alle tante, troppe morti sul lavoro) è un omicidio. Che tale omicidio non è avvenuto per accidente ma è la causa necessaria di un meccanismo alienante e degradante. Che tale meccanismo esiste ed opera per l’interesse ed il profitto di alcuni e che non vi è in esso nulla di naturale od ineluttabile.
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