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Tregua armata in Ateneo il rettore toglie l’ultimatum

da repubblica.it

I primi segnali di distensione dopo la polemica per l’annuncio della sostituzione dei ricercatori che aderiscono al blocco della didattica con docenti a contratto. Rimosso il termine di venerdì deciso dal Senato accademico. Ivano Dionigi:  “Disponibili a esplorare soluzioni alternative”

di ILARIA VENTURI

Tregua armata in Ateneo il rettore toglie l'ultimatum

LA protesta dei ricercatori si infiamma dentro e fuori l’Alma Mater. E il rettore lancia un segnale di distensione: “Nessun ultimatum, né rottura di un dialogo”. Le barricate però rimangono alte. Dopo il polverone sollevato dalla decisione di garantire i corsi rifiutati dai ricercatori in lotta contro la riforma Gelmini (Il caso) anche con docenti a contratto, Ivano Dionigi ieri ha scritto una lettera per chiarire la posizione assunta dai vertici accademici. Un testo inviato a tutti i 1300 ricercatori per evitare “filtri mediatici e burocratici”. E per spiegare le ragioni di una scelta che per Dionigi è stata “fraintesa”. La scadenza data dai presidi a presentare le rinunce ai corsi entro domani “non deve essere intesa come un ultimatum”, scrive Dionigi. I tempi dunque si allungano, almeno sino ai primi giorni della

prossima settimana, così come richiesto dai ricercatori che si riuniranno in assemblea lunedì, dopo aver partecipato alla riunione nazionale. Sui modi, Dionigi glissa rispetto alla chiamata di docenti a contratto, strada delineata ieri l’altro all’uscita dal Senato accademico dal prorettore alla didattica Gianluca Fiorentini, ma che non compare nella lettera inviata dai presidi ai ricercatori se non nella formula di “modalità alternative di copertura degli insegnamenti”.


“Il Senato ha adottato una misura necessaria e dovuta di verifica della disponibilità, già annunciata e già adottata da altri atenei, volta a garantire almeno i livelli essenziali dell’offerta formativa programmata”, la premessa del rettore nella lettera. Una misura che non deve esser intesa come ultimatum neppure nei modi. Lo stesso Senato accademico, che sarà riconvocato la prossima settimana, annuncia Dionigi, “deve ancora analizzare gli scenari e decidere quali soluzioni conseguenti adottare”. E’ il passaggio chiave. Quello che getta acqua sul fuoco. Perché è proprio sull’ipotesi delle sostituzioni che s’è scatenata la rabbia dei ricercatori e riaccesa la protesta. Già a ieri le rinunce ai corsi sono salite a oltre 400. Da Lettere, la facoltà del rettore, i ricercatori riuniti in assemblea hanno replicato a muso duro: “Rifiutiamo l’ultimatum, non è serio”. Almeno la metà dei 98 ricercatori ha già deciso di rinunciare ai corsi.

“Il nostro non è uno sciopero, ci rifiutiamo di fare ciò che per legge non dovremmo fare”, precisa Tiziana Lazzari, ricercatrice a Paleografia e medievistica. “Faccio lezione da 12 anni, volontariamente e gratuitamente, e ora ci vengono a dire che possiamo essere sostituiti e che addirittura ci sono i soldi per pagare i docenti? Inaccettabile”. “I bandi per chiamare docenti a contratto? Una vergogna”, replica Cristina Valenti, ricercatrice al Dams. “Tra l’altro si scatena una guerra tra poveri, coi precari che non sono nelle condizioni di rifiutare”. Iersera hanno consegnato la propria rinuncia 27 su 39 ricercatori di Biologia. Linea dura anche a Lingue e a Chimica industriale, mentre oggi si terranno assemblee a Architettura, Ingegneria, Medicina, Scienze. E si moltiplicano le prese di posizione dei consigli di facoltà, a partire da Agraria: qui i docenti si dicono contrari a sostituire i ricercatori in lotta. “La lettera dei presidi è una forzatura per far pressione sugli indecisi”, dicono i rappresentanti dei ricercatori: al rettore risponderanno dopo l’assemblea di ateneo, lunedì in via Zamboni 33. In rettorato.

Posted in Rassegna Stampa.