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We want t(w)o win – editoriale Uniriot

L’anno accademico si è aperto con il tentativo da parte del governo di far approvare nel silenzio la riforma Gelmini. Ormai da questa data ci separa un mese di intense mobilitazioni che si sono alternate in tutti gli atenei italiani e che hanno condotto ad un rinvio della discussione parlamentare della riforma. Infatti sia la protesta dei ricercatori, la cui indisponibilità ad assumere incarichi gratuiti ha determinato il blocco della programmazione didattica in molte facoltà, sia l’incisività dell’azione di blocco messa in campo dagli studenti, hanno evidenziato l’insostenibilità della linea del governo in materia di università determinando in questo modo lo slittamento del DDL, complici anche alcune favorevoli geometrie parlamentari.

Gli studenti ed i ricercatori non possono però fare a lungo affidamento sul soccorso delle forze politiche, dai rettori fino ai partiti, in quanto tutti, aldilà delle perplessità con cui hanno accolto la prima stesura di questa legge, risultano uniti nel chiedere una riforma verticista e senza investimenti dell’università italiana. E’ di questi giorni infatti la notizia che il ddl Gelmini è stato ricalendarizzato alla camera a partire dal 18 Novembre. Le forze di governo sperano in un iter fulmineo, che porti all’approvazione entro il 25 e sul cui percorso non si presenteranno più gli ostacoli trovati dalla prima versione. Solo da chi non ha nulla da perdere e produce ogni giorno sapere nelle nostre università può arrivare una risposta di blocco reale.

Alle spalle il movimento di quest’anno ha già una prima vittoria, che acquista un significato particolarmente importante se si prende in considerazione anche quello che sta accadendo all’esterno dell’università. Il partecipatissimo corteo del 16 ottobre a Roma, al quale hanno preso parte le varie soggettività lese dagli effetti della recessione, ha dato finalmente corpo e dignità all’emersione di un blocco sociale che si oppone senza compromessi a chi tenta miseramente di domare questa crisi con la cancellazione dei diritti e la sottrazione di beni comuni.

“Uniti contro la crisi” non è solo un slogan, ma un reale processo di ricomposizione che attraversa il paese e ribadisce la necessità di costruire un’alternativa a questo sistema che impone solo precarietà, sia sul piano lavorativo che su quello esistenziale, come standard e prospettiva di vita. In questa situazione permangono poi i tagli progressivi cominciati con la 133. E’ importante dunque cominciare a costruire un discorso di rifinanziamento dell’università, che non può prescindere da un’analisi sulla distribuzione delle risorse monetarie fra i vari settori produttivi. E’ una scelta politica ed assolutamente non neutrale il fatto che mentre l’università collassa a causa della mancanza di fondi minimi, vengano alimentate le spese militari e si concedano ingenti finanziamenti pubblici alle banche ed a quei manager che ne hanno causato la crisi.

Affermiamo con forza che, per combattere la crisi, anziché le bombe sui caccia e gli enormi investimenti nelle politiche securitarie e di controllo vogliamo fondi per la ricerca, per la didattica e per la creazione di un nuovo welfare, che vada verso l’erogazione di un reddito minimo garantito per tutt*! A tutto il resto contrapponiamo la nostra indisponibilità: Siamo indisponibili ad assistere passivamente all’agonia dell’università ed in generale siamo indisponibili ad accettare un futuro di incertezze e precarietà!

Per questo la mobilitazione deve riprendere slancio e nuova forza! Senza accettare e valorizzare il conflitto sociale non riusciremo a vincere nessuna battaglia! La consapevolezza di questo problema teorico sta ormai raggiungendo anche in Italia una maturazione politica: o siamo in grado di costruire, di fronte ad ogni nuovo attacco arrogante della governance, uno sciopero generale e generalizzato in grado di bloccare il paese, come è accaduto ultimamente in Francia, o ci condanniamo da soli ad un’accettazione inefficace.

NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO!

Assemblee in agitazione – Pisa

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