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Voi Rewind, noi… Fast Forward!

da infoaut.org

leggi anche L’onda non si processa, dietro quello scudo c’eravamo tutt*!

Onda di maggio, onda perfetta! – Riflessioni su Onda, giornate del g8 e operazione Rewind

L’Onda del maggio per molti era una scommessa. Non era automatico, almeno per noi che da Torino lanciavamo l’appuntamento, che la tenuta dell’Onda fosse ancora così forte, così autentica, così reale. Noi stessi probabilmente non ci rendevamo conto di quanto il movimento dell’autunno, con le sue grandi mareggiate, avesse fatto nascere e crescere in molti studenti e studentesse un livello di consapevolezza e coscienza di sé e dei propri obiettivi così radicato e qualitativamente elevato. Consapevolezza di quello che siamo, massa cognitaria sfruttata e precaria, con un futuro che ci corre incontro sotto forma di debito, dove insopportabile è la sproporzione tra l’enormità della ricchezza sociale collettivamente prodotta e la violenza di un’appropriazione che beneficia pochi. Consapevolezza di qual era (ed è) la posta in gioco, lo smantellamento dell’università pubblica come bene comune, dell’urgenza dei nostri obiettivi e dei nostri bi-sogni e di quali erano, e sono, i nostri avversari. A Torino i nostri avversari erano rinchiusi dentro il Castello del Valentino, protetti dalle forze dell’ordine, a produrre un fumoso quanto banale documento sulla sostenibilità ambientale.

Il g8 University Summit si era posto come diretto interlocutore del g8 dei capi di Governo e di Stato che di lì a poche settimane si sarebbe svolto a L’Aquila, investendosi della carica di "gran consigliere" riguardo non solo al ruolo dell’Università in quanto istituzione, ma anche dei problemi dell’umanità e del pianeta, dal momento che avrebbe concentrato i suoi lavori sulla sostenibilità globale, sociale e umana. Fin da subito, abbiamo ritenuto inaccettabili le modalità di organizzazione del vertice, la funzione che si erano arrogati i Rettori, la concezione dei rapporti tra mondo accademico e le dinamiche sociali ed il potere politico ed economico che veniva proposta, sia in forma esplicita che implicita, e, ovviamente, l’interlocutore scelto.

Delegittimare un vertice le cui conclusioni altro non sono state se non una accozzaglia di consigli alla Fra Indovino (la cui banalità è sorprendente per chiunque, probabilmente molto pochi, si sia apprestato a leggerne gli atti finali), significava anche delegittimare chi, fossero essi i Rettori o i loro diretti interlocutori, si apprestava per l’ennesima volta a parlare e decidere sulla nostra testa, senza accorgersi dell’assoluta mancanza di credibilità di fronte a questioni come la devastazione ambientale e le disuguaglianze su scala mondiale, basandosi sul (presunto) carattere neutral and objective che caratterizzerebbe l’istituzione universitaria e il sapere che produce e trasmette. D’altra parte la sostenibilità ambientale di cui a baroni e tecnocrati della governance piace parlare non rimette in discussione mai nulla dell’attuale divisione sociale del lavoro e dei saperi. Anzi, dentro questo scenario, le politiche della sostenibilità, dell’impresa verde e della convenzione ambientale segnano piuttosto la reimposizione della misura capitalistica contro l’eccedenza dei bisogni collettivi.

Quel giorno avevamo deciso che era giunto il momento di non accettare più divieti e imposizioni, perché uno solo era il nostro obiettivo: raggiungere il castello del Valentino. La zona rossa era un accidente creato da altri, solamente un ostacolo sul tragitto. Era davvero giunto il momento di prendere parola in maniera forte, prepotente, se necessario. Era un’urgenza sentita, ragionata e condivisa da tutt*.

Sapevamo che una scelta (l’unica possibile, d’altra parte) di assoluta irrapresentabilità e ingovernabilità porta sempre qualche rischio in più, spesso anche qualche "nemico" in più, ma ci sono momenti in cui diventa doveroso parlare un linguaggio incompatibile con la governabilità politico-mediatica della nostra Italietta, eterna provincia. Il corteo ha dato fastidio a molti, soprattutto a quanti coccolavano un’Onda ideale ed ammaestrata, da utilizzare come potenziale bacino di voti ed indicare come nuovo e virtuoso soggetto di sostituzione formale dentro l’ormai dispiegata crisi della rappresentanza. Contro tutto questo l’Onda ha scelto di essere insostenibile e realmente fuori misura, mettendo in pratica quanto si era sedimentato e acquisito nei mesi precedenti, tra percorsi di autoriforma e incursioni nei conflitti metropolitani. Le migliaia di student* e precar* che si sono presi le strade praticando un conflitto non solo verbale ribadivano l’irrapresentabilità delle loro istanze di riappropriazione, di sapere, reddito e welfare. Non c’erano buoni e cattivi in corso Marconi, come qualcuno ha preferito vedere dando una lettura semplificata, facile e superficiale (forse solo più comoda?), ma migliaia di giovani uomini e donne che la concretezza di termini quali precarietà, sfruttamento, flessibilità, conoscono fin troppo bene perché la vivono quotidianamente sulla loro pelle. Tutte le decisioni e le pratiche, prima e dopo il corteo, sono state condivise ed agite insieme, con la consapevolezza, come recitava lo striscione d’apertura del corteo, che rappresentavamo davvero quell’anomalia che il futuro, oltre a riprenderselo in mano, poteva anche un po’ cambiarlo. Quel giorno volevamo gridarlo (l’abbiamo gridato!) forte a chi invece, dai Rettori della CRUI ai grandi del g8, non rappresentava (e rappresenta) altro che il fallimento del presente.

L’Onda del maggio è stata qualitativamente quasi impeccabile. Per i contenuti che ha saputo esprimere nelle assemblee, per le risposte, sempre immediate, puntuali e radicali, che ha saputo mettere in atto, per le pratiche sempre condivise e assunte a livello nazionale, per i numeri, per l’immaginario che ha saputo creare.

L’Onda del maggio è stata realmente anomala, perché è riuscita a creare crisi, nel senso etimologico del termine, a creare rottura. Perché è stata imprevedibile e non solo nella determinazione che l’ha contraddistinta in quelle tre giornate, ma anche nella tenuta che ha dimostrato in seguito, sia a ridosso di quei giorni in cui ha saputo rispondere e rivendicare, colpo su colpo, a chi voleva screditare la grande ricchezza che si era espressa, si trattasse di giornalisti becchini anzi tempo di un grande movimento o di detrattori da quattro soldi o di improbabili boyscouts, sia a seguito degli arresti di 21 student*, costruendo iniziative in tutte le città e ribadendo con una sola voce che dietro quello scudo c’eravamo tutt*.

In risposta alla rottura praticata dall’Onda del maggio torinese, questura, procura e governo hanno stretto una proficua collaborazione, ideando l’operazione Rewind, come è stata ampollosamente definita, la quale ha assunto evidentemente una connotazione tutta politica.

Ventuno studenti e studentesse, tutti giovanissimi ed incensurati, provenienti da ogni parte d’Italia, sono stati e sono tutt’ora sottoposti a misure cautelari di vario tipo: dal carcere agli arresti domiciliari, dall’ obbligo di firma a quello di dimora nel comune di residenza. L’operazione contro l’Onda anomala era tesa a colpire preventivamente quella soggettività che, durante l’autunno precedente, aveva rappresentato una delle poche spine nel fianco del governo Berlusconi, nel deserto e nella miseria di un’opposizione inesistente.

L’impianto accusatorio, di fatto basato su prove e riconoscimenti discutibili ed inconsistenti, è stato legittimato agli occhi dell’opinione pubblica dal ruolo di protagonista svolto dal capo della Procura della Repubblica Giancarlo Caselli, personaggio mitizzato da una sinistra alla frutta, idolo troppo facile dell’antimafia e della legalità, personificazione di un potere forte venduto come educato e gentile.

Dopo la maxi operazione repressiva e mediatica del luglio scorso, a mesi di distanza, Rewind continua a far parlare di sé: da una parte le farneticanti dichiarazioni del pm Sparagna che sostiene che «tra una pietra e una p38 la distanza è breve», dall’altra nuove perquisizioni e rinvii a giudizio, sempre ai danni di studenti e studentesse universitari, tutti "colpevoli" di aver iniziato ed intrapreso un percorso politico attraverso il movimento dell’Onda.

Onda che, nonostante i tentativi e gli attacchi bilaterali subiti, non ha perso in determinazione e compattezza: come le giornate del contro vertice erano state costruite ed assunte nella loro totalità dal movimento tutto, così la risposta alle misure repressive è stata e continuerà ad essere unitaria e condivisa.

Per questo davanti al tribunale di Torino, in occasione della prima udienza preliminare, mercoledì 24 febbraio, sarà presente l’Onda Anomala in tutte le sue articolazioni nazionali, da Padova a Palermo, da Milano a Napoli, da Bologna a Roma, a riprova del fatto che, se era una scommessa, possiamo affermare, oggi più di ieri, che le giornate di maggio sono state una scommessa vinta. Noi che siamo scesi in piazza con quella gioiosa determinazione abbiamo vinto. Le nostre pratiche hanno vinto. I contenuti che in quei giorni sono stati espressi, elaborati, vissuti, hanno vinto.

L’Onda nel suo insieme ha vinto. Voi Rewind, noi… Fast Forward! 

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