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L’urlo napoletano: scuole e università sono un bene comune – Editoriale Uniriot

Nella Napoli delle eccedenze, dagli spazi riappropriati nel centro storico alle insorgenze per la difesa del territorio come bene comune tra Terzigno e Chiaiano, trova terreno fertile pure la protesta dei precari della conoscenza, in particolare di quelli della docenza scolastica. Nel pomeriggio del 30 ottobre 2010, la manifestazione nazionale dei precari della scuola sfila cosìper il Corso Umberto del capoluogo partenopeo, arrivando fino a Piazza del Gesù nel cuore antico della città. Là c’è il palco sul quale per tutto il pomeriggio si susseguono gli interventi degli stessi docenti precari ma anche delle altre soggettivitàscese in piazza componendo il flusso umano di 5000 persone che, con parole scritte ed urlate, hanno animato il sabato napoletano fino a notte fonda.

Non è difatti solo il corteo di una categoria in lotta ma una tappa del processo di ricomposizione sociale della rivolta comune, quella di una pluralità subalterna che oggi coinvolge dagli strati  della societàche una volta erano delle piccole borghesie fino a quelli che erano propri del sottoproletariato urbano (disoccupati e “senza-status”), passando ovviamente per  le fasce sociali degli operai e della manodopera dipendente in generale.

Oggi più che un tema o una vertenza, è una condizione che unisce tutte queste realtàsociali: la precarietà quella dei contratti di lavoro interinali ma anche quella dei contratti di lavoro tipico, ora continuamente minacciati dalla ringalluzzita aggressivitàpadronale; quella esistenziale di generazioni senza garanzie come casa, reddito, beni comuni; quella aggravata da una crisi che i ceti dominanti del fallimentare sistema socio-economico e politico, per auto-conservarsi, vogliono scaricare sulla base sociale.

Nel tessuto delle mille precarietà peculiari e dell’instabilità generalizzata, gli operatori del lavoro cognitivo cosìcome i soggetti in formazione rappresentano il nucleo più corposo di un neocapitalismo immateriale che, a Napoli e ancor di piùnel resto del sud, riscontra un terziario che offre un livello lavorativo ancora arretrato allo stato di sotto-occupazione. Cos’è questa parte più“auto-individuabile” di cognitariato da diversi anni oramai riesce a solidarizzare e ad organizzarsi, con e senza supporto sindacale: il movimento dei precari della scuola, insieme agli studenti medi auto-organizzati, dall’onda ad oggi, hanno rappresentato una costante, anzi una forza moltitudinaria ascendente, arrivando il 30 ottobre a dar luogo ad un’iniziativa che ha avuto la forza di porsi come momento nazionale di rappresentazione del malcontento e della rivendicazione al cospetto del degrado strutturale in cui versa la scuola pubblica italiana (nonostante la qualità umana della forza lavoro cognitiva), verso le attuali politiche del vigente governo di centrodestra e del Ministro Mariastella Gelmini, titolare del  MIUR (solo l’ennesimo stupro della pubblica istruzione dopo gli scempi di Berlinguer, Moratti e Fioroni), verso la sempre crescente invadenza del privato.

Ma non è tutto qui. In piazza a Napoli il 30 ottobre, studenti e precari della scuola hanno urlato anche il proprio desiderio di oltrepassare gli angusti limiti della dimensione pubblica della scuola, oramai svuotata e sempre più asservita alla protervia del privato, rivendicando il valore del suo capitale saperiale e della sua dimensione sociale come un bene comune, alla stesso maniera in cui i movimenti sociali da decenni oramai difendono l’esser-comune di risorse primarie come l’acqua, la terra, lo spazio, il tempo, oggetti di ripetuti tentativi di sottrazione da parte dei dispositivi del potere pubblico, strumento governamentale asservito agli interessi del capitale, e di quello privato, ovvero il capitale stesso.

Per questa dimensione condivisa, è stato facile costruire un momento di lotta ed auto- rappresentazione, nell’ambito del complessivo rilancio della rivolta comune, che coinvolgesse – oltre a precari della scuola e studenti medi – anche tutte le forze che negli ultimi mesi stanno interagendo nella ricomposizione delle opposizioni sociali: FIOM e FLC da un alto e i movimenti dall’altro, nella loro componente antagonista così come nella loro componente eccedente e orientata alla dinamica della sottrazione e dell’attraversamento, quella che – stesso all’interno di questa più ampia ricomposizione – sta dando vita alla sperimentazione di UNITI CONTRO LA CRISI insieme ad associazioni, comitati, collettivi universitari, coordinamenti di precari, singoli individui, anch’essi tutti compartecipi del nuovo processo moltitudinario.

Un processo moltitudinario che, tra l’altro, ha costruito questa tappa della sua ricomposizione dandogli un accento in più quello della nuova questione meridionale, scegliendo di contestualizzarla nel nodo metropolitano della rete territoriale di un sud in cui sia i dispositivi del dominio che la crisi trovano una propria declinazione peculiare, dato il surplus di subalternità dovuto al colonialismo interno che dall’unità d’Italia in poi (dopo anni di sottomissione scontata già con le potenze spagnole e borboniche) ha dato luogo al drenaggio di risorse finanziarie ed umane che ha determinato l’ulteriore livello di arretratezza di quest’area macro-regionale.

Leandro Sgueglia
Epimeteo – Community dell’AlterImmaginario

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