Skip to content


!Mondo Precario!” – Dossier Università/ micropolis

di Rosario Russo

Protagonista indiscusso di ogni scelta politica di questo Governo, lo “spettro” della precarietà continua a vagare indisturbato per il Paese mentre, oltre a diventare sempre più materiale, assurge a paradigma esistenziale per molti lavoratori. Lo sanno bene i ricercatori precari dell’Università di Perugia, che durante i giorni della mobilitazione contro le politiche del Governo su Università e diritto allo studio, sono scesi in piazza al fianco degli studenti.

Una presenza permanente è stata quella dell’Associazione Precari della Ricerca (APR). Abbiamo intervistato un loro portavoce, Pietro Candori, ricercatore precario di chimica dal ‘99. Candori afferma con forza che “il sistema della ricerca nel nostro Paese va avanti da anni, prevalentemente grazie ai lavoratori precari: ricercatori, tecnici, docenti, che svolgono la loro attività con borse di studio o con le forme contrattuali più disparate, sempre a scadenza e con periodi anche lunghi di disoccupazione, senza ammortizzatori o sussidi, e senza contributi pensionistici”. Nell’ateneo perugino, secondo alcune statistiche (va ricordato che non esiste ancora un’anagrafe dei precari della ricerca presso lo Studium perugino) sono circa 1200 le figure precarie tra assegnisti e dottorandi, che, con sussidi e contratti a termine, mandano avanti la “baracca”, come possono.

Candori avverte che da quest’anno, secondo il bilancio d’Ateneo, al netto dei tagli di Tremonti, sono state ridotte del 70% le borse di dottorato, e dell’80% gli assegni di ricerca, per non parlare del pesante blocco del turn-over causato dalla riforma Gelmini. Altro che meritocrazia e lotta ai baroni!

Tutto questo si tradurrà in un continuo incentivo allo sfruttamento dei più deboli: tempo e fatica utili solo ai curriculum degli strutturati, nessun investimento in reclutamento, e tantomeno in stabilizzazioni, cancellando di fatto opportunità e prospettive future. “In questo stato di cose – afferma Candori – l’impegno che ci siamo prefissati è stato quello di evitare di sobbarcarci corsi che non ci spettano. Non sostituiremo quindi né ricercatori indisponibili, né ordinari. Chiediamo più servizi di qualità, più merito, più strumenti oggettivi da parte di commissioni esterne che possano valutare al meglio il nostro lavoro di ricerca in vista dell’abilitazione, dopo i 6 anni di dottorato e non oltre. Contrari ad un sistema che permetterebbe a pochi di gestire tutto il potere dell’ateneo (basti pensare alle figure esterne nel consiglio d’amministrazione, o al maggior potere nelle mani del rettore), chiediamo – continua Candori – una nostra rappresentanza all’interno del processo decisionale dell’ateneo, in modo da salvaguardare i nostri diritti e avere maggiore voce in capitolo sulle scelte politiche di gestione”. Dal 2008 ad oggi, spiega Candori, si è “chiesto al rettore Bistoni di prendere una posizione netta contro questo stato di cose, per cercare di trovare soluzioni programmatiche in nostro favore; molta solidarietà da parte sua (quella non costa nulla) mentre nessuna risposta è arrivata a proposito della precarietà, del problema concreto”. Sembra di capire che le preoccupazioni del rettore vanno verso altre scelte strategiche, come ad esempio il reperimento di risorse da impiegare nel nuovo polo di medicina all’ex Silvestrini: insomma come un novello Caronte “il magnifico” continua impavido a cercare di traghettare (e alla svelta!) verso nuovi parametri l’ateneo perugino.

Assassinare i precari della ricerca sfilandogli dalle mani qualunque possibilità di affermazione professionale, fa parte ormai di un disegno regressivo molto pericoloso, all’opposto, rompere le mura del privilegio, della corporazione feudale, del sistema di reclutamento impenetrabile e “cooptativo”, liberare il merito e le progettualità per investire nell’ingresso di nuovi ricercatori, rimarranno mete di un mondo precario che non vuole affatto arrendersi.

Posted in Rassegna Stampa.