il 5 luglio si è svolta presso la facoltà di scienze politiche dell’università di perugia un’assemblea generale d’ateneo indetta da* ricercator* contro la manovra tremonti. a breve pubblicheremo il documento finale dell’assemblea.
Dall’Agosto 2008 si susseguono ininterrottamente Disegni di Legge, Decreti Legge e Leggi che tendono allo smantellamento dell’Università pubblica o, forse sarebbe meglio dire, dell’Università ad accesso libero e di massa (perché di pubblico nella gestione dell’attuale università c’è sempre meno, e il pubblico negli ultimi tempi è sempre più difficile a distinguersi dal privato). Tali riforme hanno il segno di un processo ben preciso che eccede le diverse parti politiche per assumere un segno bipartisan: da Ruberti (PSI, 1990) a Berlinguer (DS) fino alla Moratti (Forza Italia) e alla Gelmini (PDL).
Tali provvedimenti hanno come motivo dichiarato la situazione di crisi economica generale e la pessima gestione dell’istituzione universitaria italiana, ma sparano nel mucchio e colpiscono le fasce più deboli: i ricercatori sono più colpiti di associati e ordinari, i ricercatori non confermati sono più colpiti dei ricercatori già confermati, il personale ATA è colpito più del corpo docente, student* e precar*, che hanno meno potere di reazione, sono colpiti e basta. E non è un caso che essi costituiscano le due fasce più numerose tra quelle che compongono il corpo vivo dell’università.
Già oggi * student* che frequentano l’università subiscono questa politica dei tagli e dell’indigenza. Le matricole si iscrivono già preparate all’idea di veder progressivamente aumentare tasse e balzelli e, contemporaneamente, veder diminuire le proprie possibilità e i propri diritti. Ancor più disastrosa è la situazione di coloro che dopo la laurea decidono (o hanno deciso) di rimanere nell’ambito universitario. Molt* di loro credono che per fare ricerca basti la passione e non sia necessario esser sempre pagat* o avere i diritti che hanno gli altri lavoratori e che è normale che il frutto del loro prodotto venga sfruttato per lo più da altri (anche esterni) perché così si entra all’università. Se da una certa prospettiva è positivo svolgere il lavoro che corrisponde alla propria passione, è anche da considerare l’eventuale declinazione che questo tipo di lavoro può avere. Sovente infatti la passione e la disponibilità al proprio lavoro viene contraccambiata da bassi pagamenti o mancati pagamenti e, da questa prospettiva abbiamo lo sfruttamento.
Del resto, negli incontri di fantomatiche associazioni private, nello specifico dell’associazione "università per l’umbria", che si permettono di parlare a nome dell’università, di student* si parla solo in relazione agli argomenti tasse e tirocini gratuiti nelle aziende. De* precar* non si parla neanche. Tale doloroso silenzio si registra anche nelle istituzioni pubbliche, dove si parla di eccellenz, merito, università come ricchezza eocnomica ma mai come luogo dove vivono delle persone con dei diritti, dei bisogni, una vita.
A vari livelli noi student*, precar* e ricercatori ci siamo resi protagonist* negli ultimi due anni di mobilitazioni che hanno alla loro radice una crisi che è generalizzata. Per farvi fronte è dunque necessario unire le nostre forze e formulare nuove proposte e prospettive riguardo l’attacco cui è sottoposto l’intero comparto della formazione (università, scuola e non solo). Non ha senso fare rivendicazioni parziali e vertenzialistiche nel mezzo della catastrofe. Così l’intero comparto della formazione è sotto il medesimo attacco, e medesima e unitaria ha da essere la risposta.
L’Università sta per bruciare e non ha senso discutere su chi deve essere il primo o l’ultimo a morire. Sta dunque ad ognun* di noi uscire dall’apatia e dal lamento, prendere parola e conseguentemente la responsabilità del proprio impegno.
Ma neanche le forme di protesta possono essere parziali. Pena la creazione immediata di un conflitto all’interno degli stessi mobilitati. Prendiamo in esame le forme di protesta attuate alla sapienza di Roma: decisione de* docenti di non tenere la sessione di esami di luglio. Agli occhi di molti la situazione sarebbe questa: docenti che rischiano di andare in ferie un mese prima, studenti che rischiano di perdere borse di studio o di saltare una sessione di laurea.
E’ necessario in questo momento tenere in considerazione, nel proporre e praticare forme di protesta, la piattaforma della protesta, i modi della protesta e la sua efficacia.
Riteniamo dunque che le forme e i contenuti della protesta debbano essere pensati, proposti, discussi e decisi collettivamente da tutti i soggetti che vivono l’università e che intendono porre in atto rivendicazioni, dato che non ci saranno conquiste senza conflitto e non è possibile fare conflitto senza organizzazione.